Che cosa significa la quarantena per i nostri figli e come aiutarli
di Luca Brenna
Il termine pandemia definisce una forma di contagio con tendenza a diffondersi ovunque, cioè a invadere rapidamente vastissimi territori e continenti. È interessante notare come, togliendo la connotazione fisico-geografica, permane una particolare sfumatura in questa definizione: quella di pervasività. La pandemia è tale in quanto permea il tessuto umano in tutti i suoi aspetti. Se allora intendiamo leggere il fenomeno Coronavirus, occorre esaminarlo sotto diverse prospettive, perché coinvolge un’ampia gamma di dimensioni. Ciò che intendiamo approfondire, in qualità di Centro Clinico impegnato sul versante del sostegno ai minori e alle famiglie, è l’impatto del virus sul mondo organizzativo, emotivo, sociale e rappresentativo dei bambini e ragazzi che in questi giorni hanno subito una brusca pausa in tutti quegli ambiti che contribuiscono a formarne la persona.
Sfera organizzativa: L’ASSENZA DELLA STRUTTURA
Innanzitutto, la condizione di quarantena ha imposto un blocco forzato alla routine abituale dei ragazzi: impegni, attività sportive, scuola. In particolare, quest’ultima risente pesantemente dell’emergenza. Quelli che erano gli impegni formativi, spesso mal sopportati, ma intrinsecamente fonte di crescita e struttura, oggi si trovano in una condizione indefinita. Le scuole che sono riuscite a riorganizzarsi repentinamente forniscono i servizi solitamente erogati, ma a distanza, senza la possibilità di un contatto diretto. Altre si trovano in un limbo fatto di frammentazione e lezioni predisposte su piattaforme diversificate, con richieste variegate che possono provocare confusione e spaesamento negli alunni e nelle loro famiglie. Normalmente la scuola permette il confronto con una realtà stabile e dotata di una ripetitività rassicurante, all’interno della quale vengono collocati i germi della crescita personale e intellettiva. Il rischio attuale è invece la dispersività e la conseguente fatica sperimentata da alunni che cercano di seguire un mondo sfuggente, vago come una chiamata Skype, e da famiglie che devono ristrutturare la loro quotidianità e sostenere i propri figli nel paradossale incontro con una realtà lontana, quasi eterea. Quanto più è piccolo, tanto più il bambino necessita della tangibilità dell’altro e del mondo, che gli permette di poggiare su un terreno sicuro per poi, nell’età adolescenziale, distaccarsene tramite nuovi livelli di astrazione e generalizzazione del pensiero. La perdita del mondo concreto può allora diventare fonte di sofferenza per il bambino e per la famiglia, una sofferenza accompagnata da pensieri catastrofici, da preoccupazioni prima mai sperimentate e da un vissuto d’ansia per un pericolo dai contorni sfumati.
Sfera rappresentativa: UN MONDO PERICOLOSO
Questo stato di angoscia sotterranea si lega fortemente al modo di leggere il mondo esterno: quella che era la dimensione della prevedibilità e della sicurezza risulta capovolta, i connotati della realtà appaiono stravolti e, ancor più grave, il cambiamento è stato repentino. Di fatto, benché i canali di informazione trattassero già da tempo il contagio, la chiusura delle attività e l’obbligo di rimanere a casa vengono percepiti come un qualcosa di improvviso: il giorno prima non c’erano, il giorno dopo sì. Questo vissuto di incontrollabilità e il senso di un ribaltamento delle regole usuali è solitamente preludio di vissuti traumatici: ovviamente non si fa riferimento qui al trauma provocato dall’esperienza di un terremoto distruttivo o di un incidente stradale, ma al nucleo sottostante ogni manifestazione traumatica, di natura più o meno acuta. Il fulcro dell’esperienza traumatica è infatti il sentirsi in balia delle onde laddove si credeva di essere ben saldi in un determinato luogo. Le nuove condizioni di vita introducono questo aspetto nella vita di bambini e ragazzi, che possono dunque strutturare una rappresentazione del reale coerente con questo vissuto: il mondo può diventare allora un luogo colmo di insidie, instabile, illusoriamente sicuro, più ambiguo e difficile da cogliere di quanto non si ritenesse.
Sfera emotiva: L’ANSIA DA “ISOLAMENTO”
Ad una simile lettura del mondo esterno (che in virtù della quarantena appare realmente esterno ed estraneo) si accompagna inevitabilmente un determinato vissuto, cui già si accennava. Laddove non si riesca a permanere in uno stato sereno benché fisiologicamente turbato, possono subentrare ansia, stress, pensieri invasivi legati alla preoccupazione di perdere i propri cari e di ammalarsi, estrema attenzione alla sporcizia e alla polvere. Simili condizioni tendono ad alimentarsi della preoccupazione altrui, che porta a confermare, nella prospettiva di ragazzi e bambini, il proprio vissuto come legittimo: “se anche mamma e papà sono preoccupati come me, allora la situazione deve essere davvero grave e faccio bene a rimanere agitato” può essere il pensiero, non verbalizzato, di molti figli. È possibile che venga espressa una ricerca di conforto che però, inevitabilmente, non può usufruire di un aggancio fisico e percettivo con la cerchia sociale: nonni, amici, zii sono fisicamente distanti e possono essere percepiti come tali anche a livello emotivo. Il senso di isolamento potrebbe alimentare la percezione di pericolosità, in un circolo vizioso che si auto-alimenta.
Sfera sociale: LA PARVENZA DELL’ALTRO
Infine, com’è ovvio, la dimensione relazionale risulta pesantemente intaccata. Di fatto i mezzi di comunicazione attuali consentono di stabilire ponti virtualmente attraversabili, ma il bambino in uno stato di agitazione necessita fisiologicamente di un supporto dato dalla presenza fisica dell’altro: abbracciarsi, tenersi per mano, farsi prendere in braccio sono alcuni tra i canali comunicativi privilegiati dai più piccoli. Per quanto riguarda i più grandi, l’adolescenza è un periodo di ristrutturazione delle proprie cerchie sociali: la distanza protratta può essere vissuta come particolarmente pesante per chi sta intessendo nuovi rapporti amicali ed affettivi, sta sperimentando la fiducia e l’intimità, sta imparando a conoscere e conoscersi. La quarantena può configurare così una situazione di cortocircuito nei naturali movimenti di avvicinamento all’altro, amico o partner che sia. Le abitudini che stavano emergendo risultano ostruite e l’impulsività, che connota alcune normali reazioni dell’adolescente, può generare una forte insofferenza e agiti finalizzati a contattare un mondo così attraente, eppure precluso.
Che cosa fare?
Innanzitutto, a livello organizzativo è importante mantenere quanto più possibile una routine ed attività differenziate. Il senso della quotidianità che prosegue può lenire molta angoscia nei bambini, così come negli adulti. Può essere d’aiuto supportare i propri figli nell’accesso alle lezioni online e nello studio a casa, organizzarsi affinché possano proseguire alcune delle attività sportive a distanza (alcune scuole di danza continuano ad esempio le lezioni online, in alternativa si possono organizzare allenamenti di gruppo) e predisporre momenti in cui possano chiacchierare con le persone che solitamente incontrano nella settimana. Inoltre, è possibile proporre attività ricreative da svolgere anche online: tanto per citarne una, Netflix consente di visualizzare in contemporanea da dispositivi differenti i film contenuti nel suo catalogo attraverso la funzione “Netflix Party”. Per quanto il senso della vicinanza fisica non possa essere sostituito, tuttavia può essere mantenuto quel filo rosso che restituisce stabilità e prevedibilità ad una quotidianità apparentemente “impazzita”.
Sul versante rappresentazionale, sottolineare gli elementi di normalità non intaccati dall’emergenza e il fatto che ci sarà un ritorno alla vita abituale genera un vissuto più sereno. È fondamentale collocare in un frame di comprensibilità il considerevole ammontare di informazioni che i propri figli ricevono: telegiornali, notifiche sugli smartphone e notizie circolanti sui social possono essere difficili da inserire in un quadro ben definito. Ciò che più è importante è aiutare i propri figli a comprendere queste informazioni, trasmettendo loro il messaggio che è possibile confrontarsi e discuterne. Ciò che non si comprende spesso spaventa: per quanto disturbante, la carica terrifica della situazione presente cala laddove essa viene percepita come condivisibile e comprensibile.
I suggerimenti sin qui presentati hanno un inevitabile effetto positivo sulla dimensione emotiva: agire sulla strutturazione della giornata e sul modo di vedere le cose dei propri figli produce una distensione che può essere rafforzata da un vissuto analogo nei genitori. Gran parte della ricerca in psicologia ci ha ormai insegnato come il neonato rivolga lo sguardo al genitore in situazioni incerte, per decodificarne la risposta emotiva e strutturare la propria di conseguenza. Il meccanismo, seppur in forme diverse, permane anche nelle successive età. Presentarsi in qualità di modello che riesce a mantenere, pur riconoscendo la serietà della situazione, un atteggiamento sereno, garantisce al bambino una base sicura cui rivolgersi per tranquillizzarsi.
Infine, la sfera sociale risente positivamente di interazioni in seno alla famiglia improntate sul gioco, sulla discussione e sullo scambio. I figli più grandi possono riscoprire momenti di condivisione in una fase della loro vita in cui, solitamente, sono maggiormente orientati verso l’esterno, mentre i più piccoli possono avere modo per soddisfare il forte bisogno di vicinanza verso genitori con cui magari, a causa del lavoro, passano poco tempo. L’emergenza sanitaria, pur nelle sue connotazioni indiscutibilmente negative, possiede in sé potenzialità per un rinnovato legame familiare, che trasmetta un calore e una vicinanza rinvigoriti.